peregrinazioni lagunari o seconda cronaca di una giornata di trentasei ore o storia di cos’è successo alle Vignole

Oggi sono andata da mia nonna Nadia per finire due acquarelli su cui stiamo lavorando da un po’, ma appena entrata in casa mi sono ritrovata a fare un’enorme pinsa-svuota-dispensa (non ho letteralmente mai visto tante cose dentro una torta in vita mia!) e raccontarle di due artiste che avevo conosciuto lo scorso weekend. Parlandone a lei mi sono ricordata che ero stata assorbita dal marasma del quotidiano, per poi non raccontarvi più la seconda parte della storia. Ormai è passata una settimana dal primo post-racconto e francamente ho messo a rischio di estinzione troppi dettagli, ma cercherò di fare del mio meglio. Nel frattempo di acqua sotto i ponti ne è passata molta e ci sarebbero già nuove parentesi da aprire, nuovi post di blog da scrivere, ed è anche per questo che non mi sono più fatta viva, perché la vita in laguna scorre velocissima da sabato scorso. Sentirete presto cosa bolle in pentola, ma per oggi dovrete accontentarvi di cosa è successo dalle 10 alle 17 di quel giorno.

Ero rimasta a Giorgia, Pietro e me sbarcati alle Vignole. Ad aspettarci c’erano, come forse ricorderete, due signori con un trattore, che stavano passando di lì diretti all’orto e ci hanno aiutato a scaricare tutte le vivande (molte) della coppia signorGiovanni-signoraMargherita. Mentre vino e torte salate passavano di mano in mano, è arrivata una barca-taxi, da cui sono scese una signora e una ragazza. Erano Hélène e Carlotta, così si sono presentate in modo un po’ caotico, stringendo mani a destra e sinistra, con il signor Giovanni che le canzonava per la scelta di raggiungere l’isola in taxi; hanno imboccato con noi le stradine tra i fichi e i rovi. Carlotta aveva un cappellino da baseball che si è impigliato in un cespuglio di rose e ci ha chiesto subito se avessimo intenzione di rimanere a Venezia più a lungo dopo la laurea. Con lei abbiamo conosciuto Sumus.

Sumus (‘siamo’ in latino) è un’organizzazione no-profit fondata da Hélène Molinari, che si muove a Venezia e si è posta l’obiettivo di promuovere un nuovo paradigma di vita e, in questo senso, cercare e dare rilevanza a iniziative ed eventi che siano in linea con le idee che l’hanno fatta nascere (se ti interessa, puoi approfondire qui). Noi cercavamo di capire chi fossero le persone a cui ci stavamo per unire e camminando tempestavamo Carlotta di domande, per capire cosa sapesse Sumus di quel posto e come mai fosse lì. Lei ci era già stata, ma molto tempo prima, quando i lavori erano appena cominciati, per cui ne sapeva tanto quanto noi per certi versi; ma con la sua dichiarata curiosità per le novità, ha aumentato le nostre aspettative per questo luogo sempre più vicino. Questo è stato il primo di una serie di scambi concitati e ha aperto le danze degli incontri sull’isola.

Non ricordo il primo dettaglio che ho registrato dell’orto, ma so che all’entrata c’erano delle persone che stavano preparando una tavolata piena di cibo, tagliando salame e altre torte salate, e siamo passati di lì. Una signora ci ha affidato delle torte di San Martino, da portare in una casetta dopo un boschetto. C’era infatti questo gruppo di alberi in mezzo a cui passava un piccolo sentiero e, seguendolo, portava a una radura, piena di signore, di borse e di pezzi di legno che venivano scartavetrati. Noi abbiamo chiesto come potessimo renderci utili e loro ci hanno dato da incidere castagne. Tutte le volte che ho camminato avanti e indietro nel boschetto quel giorno, le mie scarpe rimbalzavano su un tappeto morbido di foglie e il mio cuore con loro.

Io e Gio eravamo spalla a spalla al lavoro e, una castagna alla volta, le raccontavo la tesi di laurea a cui ho iniziato a lavorare. Una signora che stava scartavetrando lì vicino (non sapevamo ancora per cosa, ma lo avremmo scoperto dieci minuti dopo: quei pezzi di legno sarebbero state le basi di alcune lanterne) ci ha sentite parlare di fiabe e si è avvicinata. E’ saltato fuori un workshop teatrale che aveva fatto a Torino diversi anni prima, in una chiesa sconsacrata, dove erano state messe in scena delle fiabe. Lei si era vestita da mela. Un’altra donna ci aveva sentite, poco più in là, anche lei ne sapeva sull’argomento, perché aveva studiato le fiabe con il metodo steineriano. Mi ha dato dei titoli che potevano tornarmi utili, io sono rimasta così, un po’ sorpresa, un po’ curiosa. Il benvenuto delle Vignole: l’impressione di essere di casa.

Dopo le castagne ci siamo ritrovate ad aiutare proprio lei, la maestra steineriana. Stava preparando due tavoli per dei lavoretti per bambini, per creare lanterne di legno e carta. Mentre misuravamo dei fogli, ci ha parlato della sua esperienza con i bimbi e uno in particolare, Zeno, che segue di recente il pomeriggio ed è una peste, ma non con lei. Abbiamo parliamo di piccoli prodigi, veneziani e non, che abbiamo incontrato facendo le babysitter. Ho un piccolo vuoto da quando eravamo con lei a quando è iniziata la giornata vera e propria, organizzata da Veras, associazione che gestisce i quattro ettari su cui si articola l’orto (sito qui).

Mi vedo poco dopo: prendo la mia analogica e finisco in un grande e disarticolato cerchio. Segue discorso di benvenuto. Il signor Mario presenta sei totem di un artista australiano, che hanno trovato una collocazione sull’isola. Sono tronchi rossi con disegni bianchi, incisi. Sono alle sue spalle. Parla del fatto che l’artista non sia potuto essere presente perché non potevano pagargli il volo, nemmeno quello di sola andata. Qualcuno spiega la giornata, qualcuno dà il benvenuto. Due minuti dopo stiamo facendo un giro illustrativo per i quattro ettari di Veras. Gio, Pie e io finiamo in un gruppo eterogeneo di visitatori. Ci guidano un uomo, Giorgio, che fa il pendolare dalla Sicilia per aiutare a gestire l’orto, e un ragazzo silenzioso (nemmeno così silenzioso in realtà, se gli si facevano le domande giuste). Ci mostrano uno scorcio tra i rovi e le rovine di una casa mezza diroccata, si vede il Lido. Poi arriva il pezzo forte.

Poco più avanti, spostato sulla destra, c’è un albero altissimo. Ci raccontano che per farsi spazio tra i rovi e le piante infestanti, i primi uomini arrivati lì lo avevano preso come punto di riferimento, come meta delle loro esplorazioni. Tutto intorno alla pianta ci sono dei posti per far fare lezione all’aperto ai bambini e sul tronco ci sono le prime prove per il tree climbing, che hanno in programma nei prossimi mesi. Poco dietro l’albero… una foresta di bambù. Qualcuno ha portato una piccola pianta e ora è diventata una faccenda così seria che stanno progettando dei modi per arginarla. Le canne nascondono dei sentieri e veniamo incoraggiati a entrarci. Ci isoliamo da Venezia: è come essere dall’altra parte del mondo. Si scherza sul fatto che dentro potremmo trovarci i visitatori della settimana prima.

L’area successiva riguarda un progetto sulle piante aromatiche: un sentiero che si snoda come un lungo rettile sul prato, su cui è stata piantata qualunque aromatica vi venga in mente (no, quella non vale come aromatica! ). Il gruppo sembra fatto di bambini, perché tutti si mettono ad annusare e toccare foglie. Giorgio, alla guida, parla dei progetti futuri, di una serra e di modi per creare energia in modo sostenibile con dei fondi europei; poi ci spedisce a pranzo. Mentre torniamo indietro, Giorgia chiede a Pietro quante persone collaborino all’orto e lui risponde <100… [[ci guarda, sorride]] anzi 103>. Riassume bene quello che stavamo provando. Euforia allo stato brado.

Durante il pranzo ci ritroviamo a un tavolo con il signor Giovanni, che ci porta un’inglese-che-dobbiamo-proprio-conoscere. Laura, così si chiama, è una veneziana d’adozione, che è arrivata in laguna per vogare e viene a parlare con noi perché vuole sentire la conferma di come Giovanni ci abbia raccattato da un canale la sera prima. Mentre ci scambiamo le nostre storie, arriva un’altra signora, che rimprovera il nostro mentore per non aver ancora provato il suo erbazzone, ce ne offre una fetta e… rivelazione! Si tratta di una sorta di dolce alle erbe di montagna, che avevo visto anche prima sulla tavolata e avevo catalogato (mannaggia a me!) come torta-salata-alle-erbe-simil-spinaci, ma di quest’ultimi ha solo il colore.

Al nostro tavolo ci sono anche dei dottorandi dello Iuav, l’università di architettura e design, mandati alle Vignole da un professore che è nell’associazione. Dopo pranzo iniziamo a ideare con loro un progetto per fine maggio. Scopo di quel sabato di festa infatti, era anche quello di unire persone e ideare attività per l’orto. La nostra idea parte da una suggestione precisa: durante il giro di presentazione, gli ambienti e le varie zone del complesso ci sono state presentate quasi come fossero stanze distinte. Quindi perché non costruire delle porte? Degli archi d’accesso all’una e all’altra. Ne discutiamo con tale Orsetta (sì, esatto), veterana dell’orto, che organizza con noi il workshop e stila una lista con tutti i dettagli. Giorgio continua a passare tra i tavoli per seguire gli sviluppi e portare vino. Oste del giardino. Pietro continua a guardare l’ora e a una certa scappa, perché gli avevano promesso che alle due e un quarto avrebbe potuto aiutare a fare un fuoco. Lo perdiamo di vista per le successive due ore (?) o qualcosa del genere.

Pietro scappando si perde una conversazione allucinante tra Giorgia e Orsetta, di lì a pochi minuti, in cui la prima, dal nulla, chiede alla seconda se sia mai stata a San Marino. Orsetta risponde di sì e Gio la incalza chiedendo se abbia fatto un workshop (sì), durante l’estate passata (sì), di stampe (sì), con il suo amico Francesco (ma certo!). Salta fuori che Gio si ricordava questo suo nome poco comune e Orsetta aveva cercato di convincere questo amico a trasferirsi all’accademia d’arte là. Mandano un selfazzo all’amico in questione. Io basita, ma Giorgia la gestisce alla grande, come se fosse la cosa più naturale del mondo e non fosse per nulla assurdo che lei si ricordasse di una tipa che tre mesi prima aveva tenuto un workshop a San Marino (chapeau Gio, ti adoro).

Mentre ci accordiamo sugli ultimi dettagli di quel progetto, iniziano ad andarsene le prime persone, ma contemporaneamente arrivano le castagne e quelli di Venice calls (qui per il sito). Leonardo e altri ragazzi coinvolti che abbiamo conosciuto erano già stati sull’isola e avevano in mente dei progetti di videomaking, per cui ci siamo scambiati i contatti. Una cosa che mi ha fatto ridere, quando sono arrivati, è stata che tra loro c’era una ragazza con cui avevo fatto una visita a un appartamento a Venezia, prima di cominciare l’università, ma forse a quel punto non mi sarei dovuta stupire più di tanto (altra ora, altri strani intrecci). Ad ogni modo Venice calls è un’altra associazione no-profit, gestita da ragazzi, che si occupa di azioni per promuovere la cultura della solidarietà e coinvolgere i cittadini in esperienze concrete, come pulire spiagge, piantare alberi, donare cibo.

Gio si mette a distribuire altre castagne e chiacchierare con i nuovi arrivati e di lì a poco ritroviamo Pietro, davanti al suo fuoco, circondato da bambini. Il fuoco è come un nido di api, con tutte queste testoline che fanno avanti e indietro, cercando legnetti e confabulando tra loro. C’è una bambina di nome Amelie che vuole fare degli incantesimi sul fumo che si alza denso verso il cielo. C’è un altro bambino che sostiene che l’alloro faccia scoppiettare il fuoco. Ci provano. Funziona. Iniziano a portare un sacco di alloro. La festa dura poco, perché arriva il momento in cui i papà iniziano a dire ai figli di prepararsi per tornare a casa. Anche noi veniamo intercettati e chiamati dalla signora Margherita.

Iniziamo a raccogliere le nostre cose e sembra successo tutto così velocemente. Ci chiedono già di tornare. La strada al contrario sembra più lunga. Sono gli stessi rovi? gli stessi fichi? Io sono distratta, sopraffatta, perdo pezzi di conversazioni camminando tra Giorgia e Giovanni. Quando arriviamo alla barca la marea è così bassa che sarebbe troppo difficile salire per la signora Giuliana, così dobbiamo trovare un ponticciolo più comodo. Mentre fa strane manovre (che per poco non ci fanno andare contro la barca dei ragazzi di Venice calls) il signor Giovanni vuole convincerci ad andare con lui a una mostra di stampe vicino alla Fenice. Non ne discutiamo troppo, partiamo poco dopo con il cielo che già inizia a scurirsi per lasciare spazio alla sera. Probabilmente andremo. Prima, però, dobbiamo tornare. Tra le Vignole e Venezia c’è, solo, una striscia di mare da tagliare. zac.

La storia non finisce qui, arriva presto il terzo e ultimo atto. Ti ringrazio del tempo che hai dedicato a queste parole!

Co

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