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è tutto uguale, è tutto uguale

nove novembre

continuo a dirmi ”è tutto uguale, è tutto uguale”, ma cosa mi aspettavo fosse cambiato?


ho scritto quella riga mentre ero in treno. da padova a venezia. ora sono sul treno del ritorno e mi sento un po’ sottosopra. o forse dovrei dire un po’ avantindietro. ho salutato teresa al binario e ovviamente pioveva. da qui a natale la mia vita sarà molto diversa. teresa vorrei averla con me, specie la sera, per cucinare insieme, guardare un film, o leggere in silenzio una accanto all’altra. anche tommi mi mancava, la sua dolcezza, il suo essere giocoso quando ti parla, il modo in cui formula le cose. ora che vivono insieme sono ancora più tere e tommi. questo pomeriggio è stato come sempre. forse non me ne sono mai andata. zattere era lì. campo sant’agnese era lì. addirittura elia era davanti ai frari, dove lo vedevo sempre. ogni calle, ogni ponte, ogni nuvola, era al suo posto. ed è rassicurante per me sapere che nel mondo esiste venezia. forse anche brodksij si sentiva così quando la lasciava per la fine delle vacanze invernali. tornava, constatava che fosse ancora lì, tutta intera, e tornava alle sue fredde lande. così per venti anni, tutti gli inverni. ho dato voce e respiro ai suoi passi oggi. lui non può più vedere le rive, ma le posso guardare io per lui e un giorno qualcuno lo farà per me. il mondo continuerà ad esistere e generazione dopo generazione esseri umani abiteranno venezia. sempre meno forse, ma sempre profondamente religiosi, spero. venezia si può solo amare in modo venerativo: contemplativo e silenzioso, minuscolo, in un certo senso, e adorativo. i suoi tramonti, la sua aria, i suoi marmi macchiati di nero di seppia sbiadito. e ora non solo quello, ma le mie persone, quasi tutte riunite e sparse per i suoi sestieri. tutti che si addormentano la notte tra le stesse pieghe marmose del tempo. tommi, il signor giovanni, teresa, burgio, paolo, pietro, rym, tutti diversi, eppure uguali. si spostano la sera, compiono gli ultimi passi silenziosi e solitari, per poi addormentarsi sotto lo stesso cielo trapuntato, lo stesso preciso fragmento. mi guardo nel riflesso del finestrino del treno, che si affaccia sulla notte ma non la può vedere, e ripenso all’ultima ombra che ho bevuto prima di lasciarla. pioveva già e dicevo cazzate, aneddoti, aneddoti di una vita lontana nel tempo e nel luogo. ero così frastornata a tratti, ma troppo impegnata a parlare per essere frastornata. dovrei spendere fiumi d’inchiostro su quanto fosse tutto com’è sempre stato, come se questa mattina fossi uscita di casa dalla mia vecchia porta e ora stessi andando a padova solo per salutare i miei. è magico su un livello così famigliare che non so spiegarlo. teresa cammina, parla, vive, come sempre. questo giorno è stato un dono, come dice lei. ma la verità è che teresa è un dono. teresa è la mia venezia personale e venezia la mia teresa cittadina. la vita respira in loro e io mi ci ritrovo accanto e la sento, la vedo, la ascolto. la vita liquida e mobile dell’esistenza delle cose. quante volte posso scrivere di essermi sentita a casa prima di sembrare ripetitiva? chissà se anche sara si è sentita così, tornando, lo scorso novembre. chissà se la rassicura. come cambiare città dopo? io voglio andare di là e di qua, ma avere i miei libri fissi lì. vivere in campo sant’agnese. uscire di casa con quell’aria fredda sulle guance e zattere che si sveglia. oggi ne sono convinta più che mai. zattere che sa di domenica. libri letti davanti al mare di giudecca, al sole, generazioni di bambini osservate crescere tra le calli. con i loro monopattini, i loro gessetti colorati. non mi serve altro, davvero, forse solo una delle mie persone nell’appartamento accanto.

Co


undici novembre

mie ultime ore in italia per sei settimane. torno a utrecht e mi manca. venezia è ancora come l’ho lasciata. gli equilibri si sono riassettati a seguito di alcune partenze. alcuni legami si sono stretti o si stanno stringendo, evoluzione di fondamenta lontane. come il legno nel fango sotto le case, che regge tutta la città. sarà sempre così. la città resta immobile, testimone silenziosa di tutte le mattine, di tutti i passi delle persone che conosco che, per ora, rimangono. forse è l’inverno alle porte, forse è la nebbia che qui si prende più spazio, ma le calli mi sembravano più vuote. non solo per i turisti. e mi chiedo se quando tornerò per restare più a lungo questo mi peserà, perché a quel punto se ne saranno andati tutti. ma allora sarà il momento di nuovi sestieri, nuove isole, e lo stesso odore di alghe sottozero (come diceva brodskij). mi rendo conto che le cose che talvolta mi mancano non si possono acquistare così. come con le persone, anche con i posti soffro per la mancanza in situazioni contingenti. mi sveglio la mattina di malumore? vorrei la nebbia. sto cucinando la sera? vorrei farlo per i miei amici lontani. fare scorte strategiche non mi darà necessariamente sollievo quando mi mancheranno là. ora devo fare la valigia.

Co

una lista di molti e troppi (e troppo stupidi) motivi per cui l’autunno è il massimo

-foglie non più solo verdi

-momento dell’anno in cui si ricomincia a indossare i maglioni

-arriva quell’aria un po’ fredda che pizzica le guance

-si beve qualcosa di caldo molto più volentieri

-il sole tramonta prima e in genere quando si torna a casa ci sono tutte le luci accese nelle case e si può sbirciare dentro

-abbinamento castagne, vino rosso, mandarini, bagigi (10/10)

-festa di San Martino con relativa torta

-stagione delle migliori albe e dei migliori tramonti… per lo meno in Città Alta

-momento dell’anno in cui si ricomincia a pensare al Natale, ma non con l’ansia di averlo vicino, solo come vago pensiero rassicurante

-camminare tra le foglie cadute per terra

-quelle giornate in cui fa freddo, ma il sole fa un ultimo sforzo e puoi comunque andare al parco, se ne hai voglia

-zucca

-quei momenti dove il cielo è tutto azzurro e limpido ma fa freddo (proprio perché c’è un vento fortissimo che ha spostato tutte le nuvole)

-mio compleanno

-quando c’è quello strano effetto per cui i rami non sono più coperti dalla chioma dell’albero ed è come se si vedesse lo scheletro, in qualche modo, con poche foglie ancora attaccate (è difficile da spiegare ma è davvero bello)

-mandarino forse mio frutto preferito (?)

-quei giorni dove non hai ancora il cappotto, ma un maglione pesante sotto una giacchetta

-l’autunno prevede una palette tutta sua che si applica anche alle persone (per lo meno le mie preferite)

-bere la cioccolata calda quando non è ancora inverno (10/10)

-calzettoni per girare in casa

-freddo = momento perfetto per riascoltarsi tutto quello che hanno fatto carl brave x franco 126 e ritornare alla sensazione (anche proprio fisica) di avere diciassette anni e camminare in uno specifico punto del passato

-stormi di uccelli che migrano (submitted by teresa ! )

scrittori e registi che hanno lavorato con le stagioni – tutte o alcune

  • Eric Rohmer: Conte de printemps (1990), Conte d’hiver (1992), Conte d’été (1996), Conte d’automne (1998)
  • Tove Jansson: Sommarboken (1972 -tradotto come ‘Il racconto dell’estate’), Meddelande. Noveller i urval (1971-97 – tradotto come ‘Il racconto dell’inverno’)
  • Autumn de Wild e le quattro stagioni nel film Emma. (2020) vedi analisi
  • Iosif Brodsij e l’inverno in Fondamenta degli incurabili (1989)
  • Damien Chazelle in La La Land (2016)
  • Italo Calvino e le quattro stagioni ripetute cinque volte nei racconti di Marcovaldo ovvero Le stagioni in città (1963)
  • Ali Smith: Autumn (2016), Winter (2017), Spring (2019), Summer (2020)
  • Menzione di merito per: https://lifebuzz.com/story-of-love

scherzavo, (forse) è l’inverno!

dopo aver scritto quella smielata dedica d’amore all’autunno circa un mese fa, penso di poter dire che tutte le cose che ho ammirato allora, si sono consumate alla velocità con cui gli alberi si sono spogliati delle foglie. un mese fa immaginavo che a questo punto il mio entusiasmo sarebbe scemato, invece ora, con i piedi nella prima casella dell’avvento, non è cambiato nulla, sono allo stesso modo entusiasta. e l’autunno? c’è qualcosa che non va nel mio entusiasmo per le stagioni? perché ci dovrebbe essere qualcosa che non va? perché di solito siamo indifferenti al passaggio tra le stagioni e ora mi interessa così tanto? sarà così anche per l’arrivo della primavera (aka stagione che non mi ha mai entusiasmata)? se sarò entusiasta anche per la primavera dovrei farmi vedere? il prossimo passo sarà comprare incenso e una di quelle luci di sale rosa da mettere sul comodino? non so, sento che potrei andare avanti e scrivere tutte le mie domande esistenziali, ma vorrei parlarvi dell’inverno [ma soprattutto: riuscirei a fermarmi a una certa? perché francamente sto dando un taglio ora per non scrivere un’intera pagina di blog solo di domande (che sarebbe stra una figata come pagina di blog, onestamente)].

dicevo: inverno alle porte e io inaspettatamente entusiasta… non che pensassi di non esserlo, ma pensavo che con nessun’altra stagione avrei superato il mio entusiasmo autunnale. di fatto non l’ho superato, sono in un certo modo allo stesso livello, o forse una parte di me non vuole far vincere né l’una né l’altra… che non è poi diverso.

mi sento come quando stai camminando e all’improvviso vedi una persona che non incrociavi da un po’ e che non ti aspettavi di vedere. parte l’automatica serie di come-va-tutto-bene-tu-invece-come-stai-bene-bene [tutt’al più uno dei due accenna che va così così, perché negli ultimi esami del sangue aveva il ferro basso, o perché ha un esame universitario domani (in qualche modo gli esami c’entrano sempre) ma insomma, tutto si sistemerà] e di solito poi arriva puntuale il ma-vediamoci-ogni-tanto-se-sei-nei-paraggi-mi-farebbe-piacere-anche-a-me-dai-organizziamo e sappiamo come finisce. prima di scambiarvi inutili convenevoli però, c’è un momento in cui sei davvero felice e vorresti davvero sapere come sta e per un istante pensi a quel momento, di quattro o cinque anni prima, in cui guardando quello stesso volto sapevi tutto quello che gli passava nella testa. ora invece sembra una persona diversa, con quegli stessi tratti che hai in mente, ma la pelle leggermente più giallognola, un nuovo paio di occhiali, gli occhi più chiari di quanto non ricordassi, i capelli portati più corti sulle spalle, ed entrambi siete, irrimediabilmente, molto più vicini a quando calerà su di voi un buio eterno, di quanto non lo foste quattro o cinque anni fa.

non so come mai, ma oggi continuo a divagare dal tema con una facilità allarmante, scusatemi… posso dare la colpa al troppo David Foster Wallace che sto leggendo? lui e le sue note di merda che amo. ad ogni modo dicevo: in questo momento mi sento come quando vedi da lontano quella persona e in un attimo hai un flash dal passato. proprio quell’esatto momento in cui ti ricordi quanto eri felice allora. quanto è bello l’inverno, onestamente, e quanto lo aspettavamo. a novembre alle superiori erano tutti già pieni-fino-a-qui e iniziavano a programmare il capodanno con gli amici, con la scusa che poi si rischiava di muoversi troppo tardi. alle medie tutti aspettavano solo che aprisse la pista di pattinaggio in centro per passare interi pomeriggi a cadere e ridere sul ghiaccio. alle elementari non si faceva altro che paciolare tutto il giorno dei regali che si sarebbero chiesti nella letterina di Santa Lucia e di come si sarebbe riusciti finalmente a incastrarla, quando sarebbe arrivata a casa per la consegna.

la cosa che mi fa ridere è che Emma me l’aveva detto… non so come ma aveva predetto che sarei finita a fare liste di motivi e ricordi per cui amo questa o quell’altra stagione. il suo era, in realtà, un suggerimento, probabilmente perché era preoccupata e voleva porre fine alla mia folle ricerca di una risposta a una domanda così banale come ‘qual è la tua stagione preferita?’. maledetto il primo che per fare conversazione ha articolato questa parole. il primo sapiens che, mentre aspettava una preda nascosto dietro una roccia, voleva spezzare il silenzio imbarazzato tra lui e l’altro sapiens che era finito in coppia con lui dietro a quella roccia e ha pensato bene di evitare osservazioni sul tempo contingente della serie oggi-fa-più-freddo-di-ieri (già banali all’epoca dei sapiens) e chiedere più generalmente quale tempo l’altro preferisse. immaginatevi l’altro, spiazzatissimo, che era abituato già a rispondere in modo automatico eh-sì-più-freddo e invece, con lo sguardo perso all’orizzonte, ha iniziato a vagare con la mente e si è ricordato di quando aveva catturato la sua prima preda in inverno, di quanto fiero si fosse sentito, spavaldo correndo tra gli alberi con la neve che faceva quella sorta di scricchiolio che fa ancora adesso quando la calpesti ed è fresca, correva con un vento freddo che gli pungeva gli zigomi e i polmoni che gli facevano male, come ghiacciati dall’aria… okay, abbiamo capito che oggi la parola d’ordine è divagare (a parte che è palese che, perso nei suoi pensieri, si sia perso anche la preda e abbia litigato con l’altro sapiens perché, infame, non si fosse limitato a un’osservazione sul tempo contingente).

ad ogni modo non è ancora inverno, o meglio, non siamo ancora nel pieno dell’inverno, quindi credo di dover aspettare prima di dare risposte definitive. alla fine mi toccherà fare un’altra lista di motivi per cui ci sta (anche) l’inverno e poi si vedrà… vi tengo aggiornati comunque

C

ps. quando ho cominciato a riflettere su questa cosa delle stagioni ho fatto una lista di autori che hanno lavorato con questo tema. è ancora all’inizio, ma ogni contributo è ben accetto per ampliare la riflessione… la trovi qui

un lista di molti e troppi (e troppo stupidi) motivi per cui l’invero è il massimo

– nella mia famiglia inizio dell’inverno = tirare fuori cd natalizi e ascoltarli in loop (ho contato in totale 15 cd, ma potrebbero essere di più)

– il freddo nelle sue diverse manifestazioni (freddo alle mani, freddo sugli zigomi, aria fredda mattutina, …)

– <l’inverno è una stagione astratta: smorza i colori e impone le leggi del freddo e delle giornate brevi. queste circostanze addestrano l’occhio a studiare il mondo esterno con un’intensità superiore (…) se questa stagione non ti calma necessariamente i nervi, li subordina però ai tuoi istinti: alle basse temperature la bellezza è bellezza> da Fondamenta degli Incurabili di Iosif Brodskij

– mandarini ( più per l’odore che ti rimane sulle dita)

– il momento in cui qualcuno ti informa che in montagna ha già nevicato

– speculoos (quelli molto speziati)

(- non io che penso prima di tutto alla cioccolata calda molto densa)

– io e Leo chiamiamo l’inverno anche quel-momento-dell’anno-in-cui-fai-colazione-con-il-panettone

– più che il giorno di Natale completo, metterei la mattina, nel momento in cui la tavola è apparecchiata, al forno mancano pochi minuti per finire la cottura e si guarda fuori dalla finestra per vedere se qualche parente è già arrivato e sta parcheggiando

– le luci della città (non quelle di Wim Wenders, proprio quelle della città) e le decorazioni che si intravedono dalle finestre delle case degli altri

– sciarpa ft. guanti

– l’inverno perfetto prevede almeno tre giorni di nevicate, non per forza contigui, anzi

*to be continued*

riflessione estemporanea del tutto temporanea

dalla fine dell’estate rifletto tantissimo sulle stagioni e mi sono accorta, più di ogni altro anno, del pigro progredire dell’autunno. ho iniziato a notare i cicli della luna e quanto fossero veloci, quante lune piene si susseguono in un mese, ecc.. probabilmente è perché ho meno cose da fare degli scorsi anni, meno posti in cui essere e andare. alle superiori avevo una routine abbastanza consolidata, molte piccole scadenze da rispettare e vivevo un anno dopo l’altro abbastanza passivamente dal punto di vista delle stagioni. ovviamente mi accorgevo del passaggio da una all’altra, ma più che altro credo per il cambio di temperatura: perché per andare a scuola dovevo prendere una giacca piuttosto che un’altra, perché dovevo ricordarmi la sciarpa, perché avevo freddo al naso e ai piedi.

qualcosa è cambiato. forse è cambiato anche volontariamente, perché mi ricordo che dal nulla quest’estate mi sono chiesta quale fosse la mia stagione preferita e volevo rispondermi in modo serio. ho fatto di quella domanda una sorta di quesito fondamentale, da motivare con delle serie considerazioni circa me e l’ambiente intorno a me e come mi faceva sentire. istintivamente mi veniva da rispondere ‘autunno‘, ma senza delle motivazioni, più per dei ricordi. ricordi come il viale davanti a scuola alle elementari, pieno di grandi foglie secche in cui camminavo da piccola, o di una mattina di pioggia e di tuoni in cui alcuni bambini si nascondevano sotto dei tavoli in palestra e la maestra ci ha fatto correre fino all’ingresso della scuola in fila per due. nella mia testa sono tutti ricordi vicini, che rispondono istintivamente, ma sento che non si tratta solo di quelli.

lo sento, ma non so dirlo. per questo l’altro ieri ho chiesto a mia nonna Nadia quale fosse la sua stagione preferita e perché. ho scelto lei perché ha vissuto molte più stagioni di me e volevo vedere come si raccapezzava.

ovviamente si raccapezza molto meglio: sapeva esattamente il motivo ed è partita in quarta con la spiegazione. mi ha detto che la sua preferita è molto probabilmente la primavera, perché mantiene le promesse. che promesse? nessuno ci dà la certezza che i fiori e le foglie rinascano dopo l’inverno, è una cosa risaputa e scontata, noi tutti la diamo per sicura, tanto quanto sappiamo che il sole risorgerà ogni mattina, ma il fatto che si ripeta ogni anno non sminuisce il fatto in sé, come facciamo noi. la primavera arriva sempre, ogni anno, portando la rinascita di tutte le piante e il risveglio degli animali in letargo e il ritorno degli uccelli migrati altrove. il fatto che questa risposta fosse così semplice per lei, così a portata di mano, mi ha lasciato un po’ così, a riflettere.

da quel momento mi chiedo perché sia così facile notare stormi e stormi lasciare le città a novembre e contemporaneamente quanto sia strano che a marzo ogni posto si ripopoli silenziosamente, come se ogni uccello tornasse da solo, senza voler dare troppo nell’occhio.

anche se questo dettaglio degli stormi fa sembrare l’autunno molto plateale, così come lo fanno tutti i colori che lo caratterizzano, non credo che l’autunno sia la stagione più ‘estroversa‘. tutto il contrario: è la stagione del richiudersi in se stessi dopo 500 giorni d’estate (se l’hai capita, occhiolino). per lo meno io ho sentito proprio questo passaggio da voler uscire tutti i giorni, a ritirarmi piano piano in casa e trovare delle scuse per rimanerci. come se stessi andando un po’ anche io in letargo, quelle poche volte in cui questo autunno sono andata a lezione e fatto cose da universitaria, le ho inizialmente vissute con una sorta di leggero fastidio, di interruzione indolente dei miei pomeriggi in solitaria a leggere e bere Chai.

poi in realtà in mezzo ai miei amici a Venezia o insieme ad Em al Salone del libro a Torino (in una fuga di un giorno che rimarrà per sempre nel mio cuore) ero felice al cento per cento e avrò pensato al Chai e ai libri al massimo due volte (con Em nemmeno una!)…che poi non è vero che l’autunno mi convince a stare a casa tutto il tempo, perché c’è un momento, quando inizia a fare davvero freddo e le foglie sono già tutte rosse e se non sono già cadute sono a un soffio di vento dal farlo, c’è quel momento in cui io voglio uscire e vedere tutti gli alberi e magari avere anche un po’ di quella pioggerellina sottile e stupida che mi fa diventare i capelli tutti crespi. quello è di solito il momento in cui le persone troppo entusiaste circa il Natale iniziano a mettere le lucine fuori e quando passi in macchina le guardi e sei felice e vorresti averle tirate già fuori anche tu, ma ti limiti a sospirare e dire che è troppo presto.

ad ogni modo non sono ancora capace di rielaborare una spiegazione seria e sensata come quella della nonna, per cui mi limito a fare una lista di molti e troppi (e troppo stupidi) motivi per cui l’autunno è il massimo, che aggiornerò in questi ultimi giorni di autunno. in più voglio rilanciarvi la domanda: qual è la vostra stagione preferita e perché? come dice Fulminacci <Credimi più ci pensi più ti allontanerai/ credimi basta poco>.

C

ps. quando ho cominciato a riflettere su questa cosa delle stagioni ho fatto una lista di autori che hanno lavorato con questo tema. è ancora all’inizio, ma ogni contributo è ben accetto per ampliare la riflessione… la trovi qui