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DAGUERRéOTYPES -di AGNèS VARDA, 1975

Già il titolo di questo lavoro è genuinamente geniale. E’ genuinamente geniale perché ‘dagherròtipo’ è un termine che indica un processo fotografico che riproduce un’immagine su un supporto in argento o rame argentato sensibilizzato, ma nel caso specifico di questo film allude anche alle persone che Agnès decide di ritrarre, i negozianti e abitanti di Rue Daguerre a Parigi.

C’è da chiedersi se l’abbia fatto di proposito, e no, è un caso, perché quella è la via in cui viveva e quello era il suo vicinato. Agnes qui è sì regista, ma più che altro attenta vicina. Una vicina che osserva con affetto le persone che tutti i giorni si alzano e aprono i loro piccoli negozi, per un lasso di tempo che trova il suo equilibrio tra più o meno sporadiche visite della clientela e momenti di quiete, se non addirittura solitudine, completa. Sarà proprio per questa solitudine che i commercianti della sua via sono tutti in coppia: mariti e mogli che condividono un mestiere e, di fatto, tutto il loro tempo.

Questo film è un monologo di Agnès Varda sulle persone che in qualche modo le piacciono. C’è l’anziana proprietaria de Le Chardon Blue, un po’ stanca e un po’ smemorata, e c’è una portinaia alle soglie della pensione che rivendica il suo ruolo di guardiana. Agnès un po’ si nasconde nei loro spazi, un po’ li mette in posa e li intervista con poche domande precise, poi monta tutto con estrema accuratezza (in ben quattro mesi!).

Mettendoli in posa, i negozianti diventano ritratti sospesi nel tempo, ma qualche piccolo dettaglio si muove, c’è l’accenno di un gesto e ci sono i respiri: sono dagherrotipi vivi!

Sono riprese che sanno di inverno, quando le strade sono bagnate e le persone si stringono nei cappotti perché tira un po’ di vento. Sanno anche di lacca di parrucchiera, quella vecchia lacca che si usava ancora quando eravamo piccole, e sanno di pane appena sfornato e di legno riverniciato. Gli ambienti sono così piccoli che rimaniamo quasi incastrati insieme ai clienti che comprano bottoni e rossetti, pagano bistecche e baguette, chiedono di aggiustare orologi e camicie. Ci ritroviamo in questi piccoli spazi commerciali, come se fosse anche il nostro quartiere, come se sbirciassimo anche noi cosa succede in strada mentre siamo in fila dal panettiere.

L’idea di Agnes è che i documentari siano tutti soggettivi, che non esista il cinéma-vérité. Questo non significa che il soggetto sia Agnès, ma che l’interpretazione sia soggettiva, cioè che questo sia un film di Varda sugli altri visti da lei. Il soggetto è la quotidianità di Rue Daguerre, a partire da Le Chardon Bleu, che aveva colpito la regista per le sue vetrine immutabili, in cui la troupe si intrufola seguendo la figlia della regista, che è una cliente affezionata dei due vecchietti proprietari.

Loro sono i primi e gli ultimi su cui la camera si sofferma, in un discreto lavoro di archiviazione quasi, verso cui è impossibile non fare un confronto con l’oggi. Si tratta di ritratti o forse di reportage o forse di omaggio, nemmeno Agnès ne è sicura, sta di fatto che i loro sguardi, i loro gesti, le loro parole, si sono conservati fino a noi, e ci ospitano tra loro, come se fossimo nati e cresciuti lì, in una sorta di piccolo villaggio dentro la città.

Sarei rimasta ore e ore a guardare queste persone, che solo poco prima non avevo mai visto e in quel momento mi apparivano così familiari. Ogni loro gesto era usuale e lento, il pane pesato e infornato, la carne scelta e tagliata, per me erano anche gesti pieni di una vita che non ho mai visto, che non esiste più.

Costanza

Questi ‘Daguerre-tipi’ colorati, queste immagini all’antica, il ritratto collettivo e quasi stereotipato di alcuni uomini e donne di Rue Daguerre, queste immagini e questi suoni ansiosi di rimanere discreti, di fronte al silenzio grigio che circonda la signora Chardon Bleu… formano tutti insieme un reportage? Un omaggio? Un saggio? Un rimpianto? Un rimprovero? Un approccio? A d’ogni modo è un film che io firmo come vicina: ‘Daguerre-tipa’ Agnès!

FONTI: ‘Alla scoperta di Agnès Varda in 5 film’ della cineteca di Bologna, che a sua volta ha come fonti l’intervista di Mireille Amiel in ‘Cinema 75’ n.204, dicembre 1975 + intervista di Andrée Tournès in ‘Jeune Cinéma’ n.140, febbraio 1982 + ‘Cicim’ n.4, febbraio 1983 +’Séquences’ n.126, ottobre 1986 + intervista di Colette Milon in ‘Cinémaction’ n.41, 1987 + ‘Varda par Agnès’, E’ditions Cahiers du cinéma, Parigi 1994 + Claude Manceron in ‘Télérama’ n1404, 8 dicembre 1976 + Francoise Audé in ‘Positif’ n.218, maggio 1979

definizione di un dagherròtipo https://treccani.it/enciclopedia/dagherrotipo/